La Visione

Pensare la nostra città come un Comune pilota a livello nazionale, una città che sorride alle differenze e che le accoglie nella convinzione che siano una risorsa culturale ed etica.

Una città che non si chiude ma che si apre, che considera la fragilità come punto di riflessione privilegiato da cui guardare la società.

Una città che non dimentica le persone fragili, che le rispetta, non le nasconde e ne fa un punto di forza della sua politica di innovazione.

La città di tutte le persone.

Questa sfida prende vita nel 2014 da un’idea di Annalisa Rabitti, ora Assessora alla Cultura, Marketing territoriale, Pari Opportunità e Città senza Barriere del Comune di Reggio Emilia:

“La scelta di impegnarmi per la mia città nasce nel 2014. E nasce da una ferita.
Nasce di notte dal bisogno di tradurre un vissuto personale, la mia esperienza intima di fragilità, in valore per una comunità. Sentivo che mancava una voce, sentivo che nella città delle persone e della sanità di avanguardia, nella città dove le cose effettivamente funzionavano, si era creata una distanza fra le istituzioni, i servizi, la gente: le persone e le famiglie si sentivano sole, arrabbiate, distanti dai loro interlocutori. E le famiglie in quella solitudine ed in quella rabbia si annientano, si spaccano, si spengono. Da una parte i servizi – le loro risposte adeguate, ma parcellizzate – dall’altra le persone e le famiglie e la loro fatica di accedere alle opportunità, ai diritti, alle informazioni. Avevo fra le mani, su un foglio, la mappa di una mamma che aveva disegnato come una ragnatela tutte le porte, le sigle, le persone e i cellulari che doveva conoscere e mettere in ordine nella sua testa per gestire la vita del suo ragazzo problematico; da madre e cittadina ero a contatto, un contatto quotidiano e profondo, con la frammentazione dei servizi che offrivano numerose proposte e soluzioni, ma spesso senza filo fra loro.
Nel 2014 la mia scelta di fare politica nasceva da un’urgenza: la possibilità di mettere a valore le cose che avevo vissuto, le cose che pensavo. Avevo il bisogno di provare a fare qualcosa, di non stare alla finestra, ma entrare.

La sfida era provare a immaginare un nuovo modo di progettare per e con la disabilità, mettendo al centro tutta quella parte di vita, spesso sullo sfondo, che abita gli individui oltre la cura e l’assistenza: passioni, interessi, emozioni.
È nato cosi il progetto “Reggio Emilia Città Senza Barriere”: prima fatto di visioni e spunti, e poi sempre più corposo, pieno di materiale, persone, idee, cose da fare concrete. A poco a poco quel progetto ha preso la forma di una valanga buona, che va da sola, che rotola. In questi anni è cresciuto, è cambiato, si è nutrito della partecipazione delle persone, del loro entusiasmo, del loro lavoro, delle loro intuizioni. Della loro passione. Dalla storia delle persone che lo hanno abitato e vissuto. Da un “me” questo progetto è diventato un “noi”. Se prima mi muoveva l’urgenza oggi mi muove la responsabilità di non farlo finire, nei confronti di tutte le persone che ci hanno lavorato e messo delle cose, nei confronti delle esperienze attraversate insieme. Centinaia di persone, associazioni, istituzioni ed enti si sono coinvolte nel progetto. Sono state impiegate energie per lottare, discutere combattere per allargare lo spazio dei diritti, per cercare una nuova forma di costruzione della nostra città.

Qualcuno lo abbiamo purtroppo perso per strada, altri sono arrivati in corsa. Per circa un anno e mezzo abbiamo lavorato con questo mandato: abbattere le barriere architettoniche e mentali realizzando un nuovo modo di pensare con e per la disabilità.
Il dibattito è diventato progetto grazie alle tante voci significative che hanno portato esperienza, dolore, frustrazioni, soluzioni, idee. A poco a poco centinaia di persone nella loro fragilità hanno capito che il rapporto con i servizi pubblici non era solo fare richieste, e hanno iniziato a mettere qualcosa a servizio degli altri. La concretezza ed il fare ci hanno tenuti insieme e hanno consolidato la partecipazione. Ma a poco a poco è accaduta la cosa più inaspettata: stiamo trovando il coraggio di essere disabili, essere fragili, essere matti e mettere questa fragilità a servizio degli altri. E questo è credo, oggi, l’incanto di città senza barriere.”

Per approfondire:

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